venerdì 14 novembre 2014

Pietro Weber - Le Sentinelle



C’è qualcosa d’antico e di nuovo insieme, nelle sculture ceramiche di Pietro Weber. Ammirando queste fascinose, e misteriose, terrecotte invetriate in alcuni casi ci sovviene il ricordo della Dea dei Serpenti. La statuetta in ceramica policroma, alta soltanto 34 centimetri, ritrovata nel Tesoro del Tempio di Cnosso sull’isola di Creta; un reperto archeologico dell’Epoca Minoica Neopalaziale, databile al 1750 avanti Cristo. Una deliziosa figurina femminile che, quando noi eravamo studenti del liceo, trovavamo molto sensuale (addirittura sexy) perché la dea alzando entrambe le braccia e brandendo a mezz’aria i due serpentelli saettanti, nel compiere quel gesto rituale, ostentava i seni tondi e ben torniti che sbocciavano da un elegante corpetto molto attillato, sotto al quale si apriva un’ampia gonna a balze, lunga fino ai piedi.
Pietro Weber reinterpreta più volte quest’icona in chiave contemporanea, dando al volto l’aspetto di una bambolina da teatro dei pupi, e trasformandone la gonna in un cono d’acini ceramici, evocativi di una fertilità affollata da tante uova.
A questa compositività che mescola e fonde tradizioni antiche con una disincantata e gioiosa Weltanschauung post-moderna, Weber aggiunge lontani echi di sculture e culture orientali, dall’India alla Birmania, ma anche tipologie e iconografie coroplastiche tipiche dell’Anatolia, della Dacia, dei Cleti e soprattutto dei Reti, “popolazioni che più di 2000 anni fa abitavano i confini dell’Impero Romano”, come scrive il più affezionato e preparato mentore di Weber, il critico d’arte trentino Marcello Nebl. Ma ci sono anche altre evocazioni che spaziano dall’Africa Nera ai buccheri etruschi, dai vasi canopici egizi alle urne cinerarie barbariche, per arrivare fino al neoprimitivismo di certe teste stilizzate alla Modigliani. Weber tutto questo suggella con un’originale e autonoma scelta stilistica connotata dall’uso virtuosistico dei colori invetriati, quasi sempre a monocromo, dal rosso cadmio al verde smeraldo, dall’azzurro turchese al giallo. Colori vividi stesi su queste quelle sculture plasmate a mano, lasciando ben visibile l’imprecisione del gesto e certe volute sbavature di colore, sotto il quale la terracotta grezza affiora come colore essa stessa, in un’esaltazione di questa materia primigenia, vera e propria plastica dell’antichità, fragile e duttile e nel contempo dura e durevole come la pietra, elegante nella sua adattabilità, e utilissima nelle sue tante forme di funzionalità.
Anche se queste opere sono fatte per non servire a nulla, né a contenere liquidi né tantomeno alimenti, ma l’unica loro vera specificità è la bellezza, ricercata in un elegante calembour di aggetti, di anse sinuose, di beccucci, bugnati e modellati spericolati con fossero sottili fili metallici o di bronzo fuso. Questo gioco s’accentua negli ultimissimi lavori presentati da Pietro Weber al Castello di Agliè, dove espone in anteprima al pubblico le sue Sentinelle. Sculture alte poco più di un metro, svettanti e modellate sovrapponendo svariati elementi: testoline minuscole e corpi astratti, alternati uno sull’altro fino alla sommità, dove in molti casi svetta una faccina con la bocca spalancata e gli occhi tristi, tanto da sembrare un arguto omaggio a Giacometti, ma, nella visione d’insieme, anche la consapevole citazione delle sculture totemiche degli Indiani d’America.
In tutto ciò, Weber, usa sempre uno stile colorato e giocoso, l’esatto opposto di cerca criptica e ostica arte contemporanea elitariamente iperconcettuale. Tanto che queste sue “Sentinelle” sembrano sorvegliare il presente con i piedi e le radici saldamente affondate in un lontano passato archeologico, ma hanno gli occhi puntati verso il futuro che si apre davanti a Noi.                                        
                                                                            Guido Curto      

MORE INFO: www.pietroweber.it

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